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Andamento generale dell’annata 2025


I NUMERI DEL PIEMONTE AGRICOLO

 

Anche il 2025, come del resto in generale gli ultimi anni, è stato un anno molto complesso per il settore agricolo piemontese, che ha dovuto affrontare numerose emergenze tra cui il cambiamento climatico, diverse nuove gravi fitopatie e zoopatie, le tensioni internazionali dovute ai conflitti, le difficoltà create dai dazi commerciali imposti dagli Stati Uniti e sullo sfondo le preoccupazioni per una riforma della PAC che prevede una riduzione delle risorse di oltre il 22% e che si presenta molto complessa.

 

Le aziende, inoltre, si stanno confrontando con una serie di nuove prescrizioni di carattere ambientale introdotte recentemente, come ad esempio quelle riguardanti la qualità dell’aria che, oltre a comportare l’introduzione di adeguamenti strutturali molto impegnativi, spesso non tengono conto di vincoli tecnico- colturali e diventano quindi di difficile applicazione.

Il quadro, visto dall’esterno, è quindi piuttosto sconfortante: costi di produzione crescenti, impegni organizzativi sempre più difficili da gestire e ricavi in diminuzione potrebbero indurre a pensare che l’attività agricola sia ormai troppo complicata da gestire e troppo poco remunerativa perché valga la pena di praticarla. Invece, come si potrà vedere dai dati produttivi e di contesto esposti, i nostri agricoltori, pur tra tutte le difficoltà che si trovano a fronteggiare, continuano a fornire sicurezza alimentare e servizi alla comunità, unendo le più moderne tecnologie a una loro antica dote: la resilienza.

 

La sintesi dell’annata agraria esposta nei capitoli successivi ha quindi cercato di cogliere, oltre ai dati produttivi, anche i segni di questo atteggiamento, basandosi su informazioni ricavate dall’Anagrafe agricola piemontese e dai più recenti elaborati sul tema, prodotti da autorevoli istituti di ricerca, quali Ires Piemonte, CREA e Istat.

 

Secondo gli studi più recenti dell’IRES, la crisi economica del 2022/23 sta continuando ad attenuarsi dopo aver portato a un forte aumento dei costi di produzione che hanno inciso negativamente sulla redditività delle aziende agricole. Le numerose criticità provocate dal cambiamento climatico hanno invece reso le ultime annate molto difficili per molte produzioni.

Queste ragioni hanno indotto molti imprenditori a orientarsi verso una maggiore segmentazione e qualificazione dell’offerta per cercare di sottrarsi alle crisi delle “commodity”.

Ne sono un esempio, come dimostrano i dati, il diffondersi dei prodotti di qualità certificata DOP e IGP e l’aumento delle produzioni biologiche. Si è anche notevolmente ampliata la cosiddetta “economia del gusto”, che ha contribuito al rilancio di alcune aree rurali della regione.

In Piemonte, il 35,6% del territorio (pari a 903.392 ettari) è dedicato all’agricoltura. Il numero delle imprese agricole con fascicolo aziendale attivo continua ad essere in diminuzione, soprattutto per quanto riguarda le piccole aziende a conduzione familiare. Si tratta di un fenomeno legato a una dinamica strutturale del comparto che vede concentrarsi le risorse (superfici, capi allevati, capitali) in aziende di maggiori dimensioni. La tendenza si è accentuata negli ultimi anni, anche a causa delle numerose crisi che hanno colpito il settore: in 5 anni si è passati infatti da 40.152 a 30.293 aziende, con un calo superiore al 20% (fonte Anagrafe agricola regionale).

Per contro la SAU (Superficie Agricola Utilizzata) si è ridotta solo del 9,5%, passando da 947.964 ettari (2021) a 903.392 ettari (2025) (fonte Anagrafe agricola regionale), dato che conferma l’esistenza di un processo di accorpamento progressivo delle aziende che ha portato la loro dimensione media dai 18,2 ettari del 2018 ai 21 ettari del 2025. L’utilizzo della SAU più rappresentativo è quello a seminativi (quasi 50% del totale), ma la crescita maggiore è quella della frutta a guscio (+19,5% negli ultimi tre anni), grazie all’espansione dei noccioleti.

In questo quadro, è interessante osservare il dato riguardante le aziende condotte da donne e quelle con titolari giovani (meno di 41 anni). Le aziende al femminile rappresentano oggi il 24,5% di quelle totali, in leggera diminuzione negli ultimi anni, nel 2018 rappresentavano infatti il 27,2%. La percentuale di conduttrici giovani (23%) è però significativamente maggiore della media regionale dei titolari giovani (15%). Per quanto riguarda invece la tipologia di azienda, la più rappresentata è quella agrituristica, dove le donne superano il 40%, in crescita negli ultimi anni (erano il 37,7% nel 2018).

Secondo i dati dell’Anagrafe agricola regionale, le aziende con titolari giovani in Piemonte nel 2025 sono 5.655 e rappresentano il 14% del totale. Il dato è in crescita negli ultimi dieci anni, grazie anche alle politiche di sviluppo rurale attuate a partire dal 2016. Nel 2015 i giovani erano infatti il 12,1%.

Nel complesso, l’agricoltura piemontese, accanto ad una struttura piuttosto tradizionale, sta sviluppando una notevole sensibilità nei confronti della tutela della biodiversità, uno degli obiettivi strategici della Politica Agricola Comune, e sul piano dell’ampliamento dell’offerta di servizi al pubblico, di grande importanza come integrazione al reddito.

Le produzioni biologiche sono in crescita da alcuni anni, con 3.078 aziende piemontesi che aderiscono a questo regime di produzione e una superficie coltivata di poco superiore ai 57.300 ha. All’aumento delle aziende biologiche hanno sicuramente contribuito le politiche pubbliche di sostegno attuate mediante i bandi dello Sviluppo Rurale (PSR e CSR); tuttavia, le recenti nuove fitopatie (es. Popillia e cascola) rischiano di costringere numerosi agricoltori   a tornare a forme di coltivazione tradizionali.

Anche se il Piemonte con il 6,3% della superficie agricola regionale dedicata al biologico rimane al di sotto della media nazionale (17%), è però in linea con le altre regioni del Nord Italia. La distribuzione tra le diverse colture è molto frammentata con prevalenza di cereali, foraggere, vite e frutta a guscio.

L’attività agrituristica può contare su di una notevole crescita delle aziende ricettive (alloggio e ristorazione) grazie alla diffusione della cosiddetta “economia del gusto”. Questa categoria è cresciuta molto nell’ultimo decennio attestandosi intorno alle 1.400 unità. Anche il turismo rurale mostra sia un aumento dei flussi, sia un’evoluzione dell’offerta ricettiva. Questo permette una valorizzazione delle produzioni aziendali connesse all’offerta di servizi turistici e alla fruizione di paesaggio e aspetti culturali.

Tra le altre forme di diversificazione delle attività aziendali che si stanno rapidamente affermando vi sono poi le fattorie didattiche e l’agricoltura sociale. Sono in crescita anche le aziende agricole che offrono servizi legati sia alla sfera ricreativa, sia a quella dei bisogni sociali e assistenziali, in particolare nelle aree urbane e periurbane.

Non bisogna poi tralasciare di menzionare il contoterzismo, che costituisce una importante fonte di reddito per molti agricoltori.

Infine, strumenti fondamentali di accompagnamento dell’agricoltura piemontese sono le politiche della PAC (Politica Agricola Comune), per la loro notevole influenza sullo sviluppo e gli orientamenti produttivi del settore.

La programmazione comunitaria 2023-2027, detta anche Piano Strategico della PAC (PSP), ormai quasi al termine del suo ciclo, è basato sui due principali Fondi Europei che interessano il settore primario: il FEAGA (primo pilastro) e il FEASR (secondo pilastro). Questi fondi apportano alla nostra regione un valore di circa 340 milioni di € all’anno per il primo pilastro e di 756,4 milioni di euro in cinque anni per il secondo.

 

L'ANNATA AGRARIA IN SINTESI

 

Cereali

Il comparto cerealicolo continua a rappresentare una componente significativa dell’agricoltura piemontese, anche se le superfici risultano in calo.

Il frumento tenero copre circa 70.000 ettari, con una produzione di 4 milioni di quintali, in diminuzione rispetto agli anni precedenti. La qualità, tuttavia, resta buona, con rese medie comprese tra 20 e 80 q/ha e un contenuto proteico soddisfacente. I prezzi di mercato si mantengono attorno ai 250 €/t, inferiori allo scorso anno. Le quotazioni ridotte, unite ai costi produttivi che sono invece aumentati, portano a una redditività globale della coltura decisamente poco sodisfacente.

L’orzo si concentra soprattutto nel Cuneese, con rese e qualità costanti.

Il mais, coltivato su oltre 127.000 ettari, mostra un leggero recupero rispetto al 2024, ma rimane lontano dai livelli di dieci anni fa, quando superava i 170.000 ettari. Le rese si aggirano sui 100 q/ha, con buoni standard qualitativi, ma un calo di prezzo (225–240 €/t). tonnellata). Anche per il mais però, la combinazione di rese minori e alti costi dei fattori produttivi ha eroso in modo significativo la redditività della coltura.

Particolarmente complesso l’andamento del riso, colpito da eventi meteorologici estremi come le alluvioni primaverili nel Vercellese e le grandinate di settembre che hanno compromesso parte del raccolto. Nonostante ciò, le superfici coltivate crescono del 4%, trainate dalle varietà a ciclo lungo. Il mercato resta instabile, con oscillazioni significative tra varietà e aree produttive.

 

Leguminose

La soia registra un’ulteriore contrazione: poco più di 11.000 ettari coltivati e rese inferiori alla media (28–30 q/ha). La qualità del seme è stata penalizzata da problemi fungini e dalle difficoltà climatiche. I prezzi, in discesa (395–400 €/t), risentono del calo della domanda e della concorrenza internazionale.

 

Coltivazioni permanenti

 

Vite

Il vigneto piemontese, con i suoi 43.000 ettari, ha vissuto un’annata complessivamente positiva. L’andamento climatico, pur con alcune fasi critiche, ha favorito un’ottima maturazione delle uve, portando a vini di grande equilibrio e qualità, tanto che il 2025 è considerato tra le migliori annate dell’ultimo decennio.

Permangono tuttavia problematiche legate alla diffusione della Popillia japonica, insetto infestante che colpisce soprattutto i vigneti del Novarese e del Canavese. La Regione ha avviato programmi di lotta preventiva e investimenti in reti antinsetto, ma la situazione resta preoccupante.

 

Frutta

Il comparto frutticolo, che coinvolge circa 18.000 aziende e genera oltre 500 milioni di euro di valore, ha affrontato anche nel 2025 un’annata difficile. Se da un lato il clima è stato meno estremo rispetto al 2024, dall’altro le precipitazioni irregolari e gli episodi grandinigeni hanno causato danni diffusi.

Le colture più penalizzate sono mele, pere e kiwi, mentre si registrano buoni risultati per mirtilli, pesche e albicocche.

Mele: produzione stimata in 230.000 tonnellate, -15% rispetto al 2024, ma con ottima qualità e calibro. Prezzi all’origine 0,40–0,55 €/kg.

Pere: calo del 24% a livello nazionale, dovuto a cascola e fitopatie. Prezzi variabili tra 1 e 1,80 €/kg.

Kiwi: continua la crisi della coltura per la cosiddetta moria del kiwi, che ha dimezzato la superficie piemontese. Tuttavia, la qualità dei frutti resta alta e i prezzi raggiungono 1,50 €/kg.

Per le nocciole si segnala forte crisi produttiva (-50/70%), rese intorno ai 10 q/ha. La “cascola” delle piante e il cambiamento climatico minacciano la tenuta del comparto, strategico per il Piemonte.

Quella delle castagne è stata invece un’annata eccellente, con buona qualità e valore aggiunto grazie alle IGP “Castagna Cuneo” e “Marrone della Val Susa”. Il prodotto è anche leva di turismo rurale e gastronomico.

Piccoli frutti: il mirtillo è il vero protagonista positivo del 2025, con 780 ettari coltivati e un netto miglioramento qualitativo; cresce anche la domanda estera.

Fragola: produzione discreta ma prezzi in forte calo (-45% rispetto al 2024).

 

Ortaggi

Nel comparto orticolo si evidenziano situazioni molto diverse:

Il peperone, coltivato su 155 ettari (soprattutto a Carmagnola), ha avuto un’annata eccellente, con rese elevate e ottimi prezzi (1–3 €/kg).

La patata, diffusa su circa 1.000 ettari, ha risentito della siccità estiva e delle infestazioni di elateridi (“ferretti”), con perdite di resa e prezzi in caduta libera (0,20 €/kg).

Il pomodoro da industria cresce nelle superfici (+8%) ma subisce cali di resa dovuti al caldo di inizio estate; il prezzo di riferimento è 142,5 €/t. Segnalata, nell’Alessandrino, una preoccupante proliferazione di roditori che danneggiano gli impianti e i terreni agricoli.

 

Zootecnia

Secondo i dati dell’Anagrafe Zootecnica Nazionale, il patrimonio piemontese conta oltre 748.000 capi bovini, 1,24 milioni di suini, circa 159.000 ovicaprini e quasi 11 milioni di avicoli. La zootecnia regionale si caratterizza per una spiccata specializzazione e un forte legame con i sistemi produttivi locali, in particolare per la carne bovina, i salumi, le uova e la filiera lattiero-casearia.

 

Avicoltura e produzione di uova

Il comparto avicolo piemontese continua a essere uno dei più dinamici dell’intera filiera agroalimentare. Si contano circa 700 allevamenti, per un totale di 11 milioni di capi, distribuiti principalmente tra le province di Cuneo e Torino. Il settore, che comprende polli da carne, tacchini, faraone e galline ovaiole, si conferma tra i più efficienti dal punto di vista economico e ambientale, grazie all’alto grado di automazione e all’adozione di pratiche gestionali innovative. La situazione sanitaria si è mantenuta sotto controllo, con un’efficace gestione del rischio legato all’influenza aviaria. Le misure di biosicurezza, potenziate negli ultimi anni, hanno permesso di contenere i focolai e di mantenere elevati standard qualitativi e di benessere animale.

 

Avicoli da carne

Gli allevamenti da carne (polli e tacchini) sono circa 370, con una produzione complessiva di oltre 7,6 milioni di capi.

Il 2025 ha registrato un incremento produttivo del 2% rispetto all’anno precedente, grazie all’elevata domanda del mercato interno e a un buon equilibrio tra offerta e prezzi. Le quotazioni dei polli si sono mantenute su livelli remunerativi, con una media di 1,6 €/kg all’origine, mentre i costi di produzione – pur aumentati per effetto dei mangimi e dell’energia – sono rimasti gestibili.

 

Bovini da carne

Il settore bovino da carne piemontese, cuore storico della zootecnia regionale, rimane fortemente identitario. La razza Piemontese – Fassona continua a rappresentare un marchio di eccellenza riconosciuto a livello internazionale per la qualità della carne e per la sua filiera controllata e tracciabile.

Nel 2025, tuttavia, il comparto si trova ad affrontare importanti criticità. I consumi interni di carne rossa sono in diminuzione, a causa delle nuove abitudini alimentari dei consumatori. La produzione nazionale si mantiene stabile tra 750.000 e 800.000 tonnellate, ma la domanda interna resta inferiore, spingendo verso un progressivo riequilibrio del mercato. Il prezzo dei vitelloni da macello a giugno ha raggiunto i 2,92 €/kg (peso vivo - iva esclusa), ossia il 22% in più rispetto alla media del triennio precedente. Le quotazioni sono spinte da un’offerta limitata e da costi di produzione ancora elevati.

Tra le emergenze sanitarie, il 2025 ha visto l’allerta per la dermatite nodulare contagiosa bovina (Lumpy Skin Disease – LSD), comparsa in Francia e prossima ai confini piemontesi.

 

Suini

Il comparto suinicolo piemontese, con oltre 1,2 milioni di capi allevati, è tra i più rilevanti del Nord Italia, strettamente collegato all’industria di trasformazione delle carni e dei salumi tipici. Tuttavia, anche nel 2025, l’attenzione resta alta a causa della Peste Suina Africana (PSA), malattia virale che colpisce i suini e i cinghiali, senza rischi per l’uomo ma con gravi conseguenze economiche. Nonostante l’epidemia si sia contenuta, si contano ancora 8 focolai nelle province di Novara e Vercelli.

 

Ovicaprini e filiere minori

Il patrimonio ovicaprino piemontese, con circa 160.000 capi, mantiene una funzione essenziale soprattutto nelle aree marginali di montagna e collina. Le produzioni di formaggi tipici come la toma, il blu di Lanzo o il bruss restano simboli della tradizione locale e rappresentano un’importante integrazione economica per le piccole aziende.

Anche se quantitativamente limitato, questo comparto contribuisce alla tutela del paesaggio, alla manutenzione del territorio e alla conservazione della biodiversità.

 

 

 

Andamento climatico ed agrometeorologico nelle principali aree agricole piemontesi 1° gennaio – 31 ottobre 2025

Dott. Federico Spanna, settore fitosanitario Regione Piemonte

 

Gli ultimi tre anni, come noto, sono stati caratterizzati da andamenti climatici particolari ed anomali spesso in senso opposto. Dopo un 2022 e 2023 dominati da condizioni estremamente calde e siccitose si è presentato un 2024 caratterizzato da condizioni opposte soprattutto dal punto di vista pluviometrico. Finalmente ecco presentarsi un’annata 2025 che sta facendo registrare un andamento relativamente nella norma pur con una certa variabilità meteorologica determinata da periodi caratterizzati da pluviometria elevata seguiti da mesi con apporti pluviometrici più ridotti che in alcune zone si è tradotta anche scarsità di precipitazioni. Dal punto di vista termico, ad oggi, si è assistito al verificarsi di periodi con temperature nella media e di periodi con temperature eccezionalmente elevate, come giugno, che è risultato tra i più caldi degli ultimi 20 anni, paragonabile al giugno del 2003.

Più in particolare si è osservato fino ad oggi, nei nostri territori, un andamento dal punto di vista pluviometrico caratterizzato da un massimo primaverile con una punta nel mese di aprile, con valori di pioggia cumulata anche superiori ai 200 mm in diverse zone del Piemonte.

A questo aprile piovoso però hanno fatto seguito un maggio nella media e soprattutto un giugno siccitoso. La persistenza dei fenomeni nei mesi primaverili ha portato a conseguenze di tipo fitopatologico localmente di una certa rilevanza.

Nel mese di luglio in quasi tutto il territorio piemontese le piogge sono ricomparse, ma spesso sotto forma di temporali, creando talora condizioni di disagio con locali ripercussioni sulle colture. Da segnalare alcune grandinate che hanno colpito il biellese, il doglianese, la zona di Verduno e il nicese verso fine giugno e inizio luglio, provocando in alcuni casi danni importanti ai vigneti. Il mese di luglio ha fatto registrare nel complesso precipitazioni in linea con la media mensile.

Nel corso della stagione estiva si sono manifestate differenze consistenti negli apporti pluviometrici nelle diverse aree agricole piemontesi. In particolare, nelle aree agricole a sud del Po, delle province di Cuneo, Asti ed Alessandria si segnalano nel complesso condizioni di siccità rilevante che hanno determinato criticità fisiologiche e produttive su alcune colture.

Diverso è il discorso relativo alle temperature; il 2025 su tutto il territorio regionale si conferma la tendenza osservata negli ultimi anni, con temperature sempre maggiori rispetto alla media soprattutto a carico delle temperature minime

Vanno sottolineate sicuramente le elevate temperature del mese di giugno, che come già detto hanno superato la media anche di 2°C e hanno portato ad un anticipo dello sviluppo fenologico delle colture anche di una decina di giorni. In controtendenza invece luglio, che ha portato ad un abbassamento delle temperature, facendole rientrare nella media stagionale.

Il mese di agosto ha presentato l’anomalia termica dell’annata che ha forse maggiormente influenzato l’andamento produttivo delle coltivazioni estive. Nella settimana centrale, infatti, le temperature si sono mantenute su livelli superiori alla norma con persistenza per diversi giorni sia delle minime che delle massime giornaliere su valori non favorevoli ai processi fisiologici delle colture, raggiungendo punte massime di poco superiori ai 39°C in alcune zone dell’astigiano.

Il decorso del mese di settembre è stato per lo più nella norma sia dal punto di vista termico che pluviometrico, ad eccezione dell’alessandrino sud-orientale che è stato interessato da intensi temporali che hanno portato a livelli precipitativi di gran lunga superiori alla media stagionale. Da segnalare purtroppo un inteso e violento evento grandinigeno sui territori orientali che ha determinato consistenti perdite produttive specialmente a carico delle coltivazioni risicole

 

Nel complesso le precipitazioni totali fino a tutto ottobre sono risultate ovunque prossime o superiori alla media storica. Sulle aree agricole settentrionali o pedemontane i quantitativi sono risultati più abbondanti pari a circa 1.5 volte la media storica. Analoga situazione si è verificata, per i motivi sopra illustrati, sulle aree sud-orientali della regione. Di minore entità le precipitazioni totali sulle aree cuneesi ed astigiane

Gli indicatori di sommatoria termica evidenziano in quasi tutte le zone un contributo termico complessivo corrispondente alla media storica, con un picco nel mese di giugno seguito da un rientro nella norma nel mese di luglio.

Nel complesso, relativamente al periodo considerato, pur con le peculiarità fini qui descritte, è possibile affermare che l’andamento generale vegeto-produttivo delle colture è risultato relativamente regolare ed ha favorito i cicli produttivi in termini sia di quantità che qualità del prodotto finale.

 

Andamento delle produzioni vegetali

 

Cereali

 

Frumento e orzo

Nella nostra regione l’estensione della superficie a frumento tenero è stata quest’anno di circa 70mila ettari, confermando la tendenza alla diminuzione già riscontrata nel 2024 (73mila ettari, rispetto ai quasi 89mila del 2023), con 4 milioni di quintali di produzione (4,3 milioni nel 2024 e 5,1 nel 2023). A livello di provincia possiamo rilevare che Alessandria, continua a dimostrarsi il territorio più vocato per il frumento tenero, gli ettari coltivati sono stati infatti 26.644, con più di 1,5 milioni di quintali di produzione. Interessante anche la produzione alessandrina di frumento duro. La superficie dedicata però, circa 1.800 ettari per quasi 109mila quintali di produzione, è inferiore a quella dell’anno precedente pari a 2.000 ettari per quasi 135 mila quintali.

Per quanto riguarda l’orzo, la provincia con la maggiore estensione si conferma quella di Cuneo, con quasi 6mila ettari per 347mila quintali di produzione, seguono Alessandria, con 3.200 ettari e 184mila quintali, e Torino con 2.700 ettari e 160mila quintali.

Dal punto di vista climatico, le precipitazioni piuttosto abbondanti della primavera avevano fatto temere possibili attacchi fungini, tuttavia, con l’avanzare della campagna, la situazione è ritornata nella norma e la raccolta ha potuto svolgersi nei tempi consueti. Le rese del frumento sono state invece piuttosto variabili, andando da un minimo di 20 quintali/ ettaro, fino agli 80. Questo dato disomogeneo è dovuto in parte al periodo di semina nell’autunno 2024, condizionato da abbondanti piogge, e in parte alla primavera altrettanto ricca di precipitazioni, che ha causato dei problemi in terreni particolarmente pesanti.

Il peso ettolitrico è stato invece più omogeneo, arrivando a più di 75, in alcuni casi intorno a 80-81. Anche il contenuto di proteine è stato soddisfacente per tutti gli areali, anche nei casi di produttività inferiore.

Per quanto riguarda i prezzi, le borse merci mostrano valori di poco inferiori rispetto a quelli dello scorso anno. Per esempio, il listino della Granaria di Milano, per quanto riguarda i frumenti per alimentazione umana, si attesta su quotazioni di 240-250 euro/t per i panificabili, e di 260-270 euro/t per i frumenti di forza. Tuttavia, le quotazioni ridotte, unite ai costi produttivi che sono invece aumentati, portano a una redditività globale della coltura decisamente poco soddisfacente.

 

Mais

In Piemonte, nel 2025 sono stati dedicati alla coltura del mais più di 127mila ettari, dato che, seppure in aumento rispetto ai due anni precedenti, conferma il progressivo calo di produzione in atto ormai da una decina di anni nella nostra regione: nel 2014 si contavano infatti più di 174 mila ettari a mais. Una riduzione che influisce negativamente sull’industria di trasformazione, dove il mais è ingrediente base di farine, snack, prodotti da forno, cereali, birra, pasta, bevande vegetali e alternative alla carne, inclusi i prodotti senza glutine.

La campagna maidicola in Piemonte può comunque considerarsi piuttosto soddisfacente, specialmente se si confrontano i dati di produzione con la media annua nazionale che, per uso alimentare, è di circa un milione di tonnellate, ma quest’anno non supererà le 600mila.

Le province in cui la produzione di granoturco è più diffusa sono Torino e Cuneo, rispettivamente quest’anno con 48.781 ettari e 40.040 ettari.

Per quanto riguarda le rese, si prospettano del 10% circa sotto la media, ma con una discreta omogeneità tra le diverse aree del Piemonte. Il dato medio si aggira infatti intorno ai 100 quintali a ettaro, con punte di 140 nelle aree più vocate, come il Vigonese.

Anche per il mais l’andamento meteorologico primaverile ha condizionato l’intera campagna, ritardando le semine e, di conseguenza, tutte le seguenti operazioni colturali fino alla raccolta, oltre a favorire alcuni attacchi di fusariosi. Le fumonisine e piralide sono segnalate solo nei non trattati, mentre le aflatossine sono contenute dove è stato possibile irrigare.

Sul versante dei prezzi, secondo le rilevazioni di ottobre della Granaria di Milano, le partite di mais nazionale venivano scambiate intorno ai 225 - 230 euro alla tonnellata, un prezzo leggermente più basso di quelli rilevati sul territorio piemontese (mediamente 240 euro alla tonnellata). Anche per il mais però, la combinazione di rese minori e alti costi dei fattori produttivi ha eroso in modo significativo la redditività della coltura.

 

Riso

Secondo i dati dell’Ente Risi, a livello nazionale la superficie delle risaie è aumentata di circa 9.321 ettari (+4,1%) rispetto alle semine del 2023 arrivando a un’estensione totale di 235.450 ettari.

Tale incremento è la risultante dell’aumento di 10.691 ettari per i Lunghi A (+9,9%) e di 1.222 ettari per i Lunghi B (+2,7%), mentre le superfici dei Tondi e dei Medi sono stimate in calo, rispettivamente, di 1.428 ettari (-2,4%) e di 1.163 ettari (-8,1%).

La stagione di semina non è iniziata coi migliori auspici, almeno per certe zone dell’areale risicolo come il Vercellese, dove il 16 e 17 aprile scorsi una vera e propria alluvione con piogge che hanno raggiunto i 600 millimetri in sole 36 ore ha colpito circa 1.500 ettari di risaia, principalmente nelle aree golenali, di cui circa 600 ettari hanno subito gravi danni.

Le conseguenze hanno interessato la rete irrigua, gli argini e i terreni, oltre alla presenza di residui della piena, come ghiaia, massi e cumuli di detriti. Alcune di queste risaie erano già state seminate, mentre altre erano pronte per la semina. È noto che nelle aree golenali più vulnerabili a potenziali esondazioni autunnali, le operazioni di preparazione dei terreni e semina avvengono in anticipo. I problemi più significativi sono stati provocati dal fiume Sesia, che ha raggiunto a Borgosesia un livello di 7,5 metri, superando di gran lunga la soglia di pericolo fissata a 6,30 metri. Questo ha causato allagamenti nei terreni golenali dei comuni di Borgo Vercelli, Caresana, Casale Monferrato (in frazione Terranova), Caresanablot, Motta dei Conti, Pezzana, Prarolo e Vercelli. Inoltre, Il torrente Elvo ha esondato nel comune di Carisio, erodendo argini e danneggiando i canali di adduzione su un'area di circa 50 ettari mentre a Casanova Elvo ha esondato su un'area di circa 140 ettari. Infine, l’esondazione del torrente Cervo ha colpito circa 50 ettari nel comune di Collobiano, depositando uno strato di sedimenti non eccessivo. Questi sedimenti sono stati rimossi permettendo così la normale coltivazione delle risaie per quest'anno.

Nei territori non colpiti dall'alluvione, fino a metà aprile, la semina interrata a file di varietà a ciclo medio-tardivo è proseguita senza particolari difficoltà, utilizzando principalmente le tecnologie Provisia® e Clearfield®.

Dopo le abbondanti piogge avvenute intorno a Pasqua, si è proceduto principalmente con la semina in acqua, ad eccezione di alcune aree a sud di Vercelli e nella provincia di Alessandria.

La semina interrata a file continua a essere la tecnica principale; tuttavia, quest'anno si registra un incremento della semina in acqua rispetto alla scorsa campagna.

Nel Novarese le prime semine sono state effettuate in condizioni di asciutta prima di Pasqua e, dopo l'ondata di maltempo, sono proseguite solo nei terreni sciolti. Nelle prime risaie seminate, non si sono riscontrati problemi di emergenza legati alle abbondanti piogge, che hanno invece favorito una buona attivazione degli erbicidi di pre-emergenza. Le semine in acqua sono iniziate all’inizio di maggio e sono continuate fino alla fine del mese per le varietà a ciclo precoce.

La stagione di coltivazione è proseguita senza particolari problemi, l’andamento climatico estivo particolarmente caldo è stato limitato ad alcuni periodi di luglio e inizio agosto e non ha nella realtà dei fatti anticipato le operazioni di raccolta soprattutto per le semine tardive in quanto la mancanza di significative escursioni termiche tra giorno e notte, in particolar modo nel mese di agosto, ha portato paradossalmente ad un allungamento del ciclo vegetativo della pianta.

Solo verso fine agosto, con le prime escursioni significative, il riso ha iniziato il vero ciclo di maturazione tanto che molte aziende a metà settembre non avevano ancora iniziato la raccolta.

Le operazioni di trebbiatura poi, sono state funestate da una doppia, violenta grandinata che ha sconvolto completamente i piani di mietitura dei risicoltori di una vasta area del vercellese e di una porzione di territorio novarese.

Mercoledì 24 settembre si sono verificati due eventi grandinigeni di forte intensità con pesanti ripercussioni sul settore agricolo. Il primo, nella mattinata, ha interessato una fascia da Borgo d’Ale fino a Vicolungo. I comuni particolarmente colpiti sono stati quelli di Tronzano Vercellese, Santhià, Carisio, Casanova Elvo, Formigliana, Villarboit e Balocco.

Il secondo evento, nel tardo pomeriggio, ha interessato i comuni di Stroppiana, Asigliano, Costanzana, Rive Pezzana colpendo significativamente anche i territori lungo il Sesia della provincia Novarese, per dirigersi poi verso il Pavese.

I danni sono stati ingenti: vaste aree hanno fatto registrare la perdita totale del prodotto perché la grandine è andata a colpire i cicchi di riso più maturi sulla pannocchia e per questo molto fragili e soggetti a “crodatura”.

Anche alla luce dell’importante evento grandinigeno di fine settembre al momento il mercato è attendista e instabile ed è di difficile interpretazione con una domanda importante per alcune varietà e quasi nulla per altre.

L’Indica non sta vivendo un periodo particolarmente felice: ci sono pochi compratori ed offerte che non superano i 40 € e solamente per alcune varietà, mentre altre sono momentaneamente assenti, i tondi generici sono in tensione e seppur quotati 55 € c’è qualche piccola possibilità di ottenere 60 € con pagamenti lunghi, con il Centauro che ha toccato i 60 € come Misaki, Cl18, Cerere e Sinfonia; il Selenio a listino quota ancora 65 €.

Per quanto riguarda il risone Tipo Ribe si è arrivati a 40 €, mentre risulta variegata la situazione dei risi da interno: per il Cl388 le proposte hanno raggiunto 65 €, per il Carnaroli e i suoi similari sono stabili rispettivamente a 80 € e 70€.

 

Leguminose

 

Soia

In Piemonte nel 2025 sono stati coltivati a soia poco più di 11mila ettari, con una produzione stimata di circa 319 mila tonnellate. Rispetto allo scorso anno la superficie investita (12.370 ettari) è ancora diminuita, confermando la tendenza alla decrescita che si registra dal 2023.

La campagna della soia in Piemonte per il 2025 mostra una situazione piuttosto diversificata, con risultati che variano in modo abbastanza significativo a seconda delle aree e delle tecniche agronomiche adottate; tuttavia, la principale criticità è stata la scarsa qualità del materiale disponibile per la semina primaverile a causa di attacchi fungini verificatisi nel 2024. La gestione dell'acqua e la scelta della varietà sono stati quindi fattori dirimenti nel determinare l'esito della raccolta. Mentre alcuni agricoltori hanno ottenuto buone produzioni, altri hanno registrato risultati più modesti, anche a causa delle condizioni climatiche.

Le rese in Piemonte sono state quindi più basse del consueto, oscillando tra i 28 e i 30 quintali a ettaro.

Per quanto riguarda i prezzi, la soia nazionale ha iniziato a essere quotata solo dalla metà di ottobre. Alla Granaria di Milano si sono registrati valori di 395-400 euro a tonnellata, dato sensibilmente inferiore a quello della campagna scorsa (430-437 euro a tonnellata), ma soprattutto a quello del 2022, quando si registravano scambi a 615-620 euro a tonnellata.

 

 

Coltivazioni permanenti

 

Vite

L’annata vitivinicola 2025, per i quasi 43 mila ettari del Piemonte, è stata caratterizzata da un andamento climatico piuttosto vario, ma nel complesso equilibrato.

Durante le prime fasi vegetative si sono registrate piogge abbondanti che hanno consentito di raggiungere una buona dotazione idrica, accompagnate da temperature miti fino al periodo dell’allegagione.

In fase di invaiatura si è assistito a un costante aumento delle temperature, con giornate calde e secche che hanno accelerato i tempi di maturazione tecnologica e fenologica delle uve.

Le criticità maggiori si sono manifestate nelle prime fasi vegetative della pianta, periodo in cui la pressione delle malattie fungine, in particolare della peronospora, è stata rilevante. Tuttavia, l’andamento climatico successivo ha sfavorito la progressione della malattia, permettendo di portare a maturazione grappoli sani.

Le alte temperature hanno invece favorito la diffusione di insetti come tignole e tignolette che, già dalla seconda generazione, hanno causato alcuni danni agli acini, soprattutto nell’areale dell’Astigiano. Nell’Alto Piemonte si sono inoltre registrati danni da Popillia japonica.

Il caldo secco del mese di agosto ha anticipato la maturazione di circa 7-10 giorni per le varietà precoci, come Pinot e Chardonnay, destinate alle basi spumante dell’Alta Langa DOCG. Successivamente è iniziata la raccolta del Moscato, con riscontri positivi sia in termini quantitativi, sia qualitativi, soprattutto per quanto riguarda il quadro acido e aromatico.

Per le uve rosse – Dolcetto, Barbera e Nebbiolo – si è osservato un anticipo fino a 15 giorni per le varietà più tardive. Nonostante la riduzione del periodo vendemmiale, si è registrata una maturazione molto equilibrata sia dal punto di vista tecnologico (grado zuccherino e quadro acido) sia sotto il profilo polifenolico, con un ottimo accumulo di sostanze coloranti e tannini ben equilibrati.

Il 2025 verrà sicuramente ricordato, oltre che per la qualità delle uve che colloca l’annata tra le migliori dell’ultimo decennio, anche per la complessa fase che il vino italiano sta attraversando a livello di mercato: nuove tendenze di consumo, equilibri produttivi da rivedere e scenari commerciali in evoluzione.

Accanto alle attività di promozione portate avanti dai Consorzi di Tutela, nel 2025 sono stati adottati diversi provvedimenti vendemmiali volti a ridurre le rese delle Denominazioni di Origine piemontesi, al fine di ottenere una produzione più calibrata. Questo strumento risulta indispensabile per avviare un percorso di progressiva riduzione delle rese per ettaro, con l’auspicio di raggiungere un equilibrio che consenta di produrre quanto il mercato effettivamente richiede.

 

Focus su: la Popillia japonica

nel corso del 2025 si è assistito al preoccupante estendersi dell’areale in cui la Popillia japonica, organismo nocivo classificato da quarantena rilevante e prioritario ai sensi del Regolamento Europeo 2019/1702, è presente nella nostra regione. Partiti dal novarese, attacchi massicci di questo coleottero si segnalano ormai anche nel canavese, dove sono pesantemente danneggiati soprattutto i vigneti. Quest'anno, a causa delle abbondanti precipitazioni verificatesi nell'estate 2024, che hanno agevolato la sopravvivenza delle larve nel terreno, le popolazioni dell'insetto sono state elevate. Questo ha fatto sì che in alcuni vigneti la presenza dell'insetto sia stata abbondante, rendendo maggiormente complessa la gestione della coltura rispetto agli anni precedenti. Tutte le aziende delle aree interessate sono state in difficoltà nel contenere le infestazioni, ma il problema si presenta in modo ancora più grave in quelle che aderiscono all’agricoltura biologica, per l’impossibilità di utilizzare insetticidi per la difesa.

Per salvaguardare l’esistenza stessa degli operatori biologici dell’areale, sarebbe quindi indispensabile attivare specifici programmi di lotta che consentano anche a questi ultimi di utilizzare prodotti chimici contro la Popillia senza incorrere in sanzioni, ma semplicemente sospendendo la qualifica di operatore biologico per una o più campagne. Sarebbe altresì opportuno riconoscere la causa di forza maggiore a quegli imprenditori che dovessero abbandonare il regime biologico e l’intervento SRA 29.

Più che sulla lotta diretta, la Regione sembra invece puntare su metodi di lotta indiretta; per questa ragione è stato nuovamente aperto il bando sull’Intervento SRD06 (Az. 1.1) - Investimenti per la prevenzione di danni di tipo biotico, che finanzia l’installazione di reti antinsetto. L’iniziativa presenta comunque degli aspetti di criticità, legati soprattutto a complicazioni nella gestione delle colture e al pericolo di abbattimento della protezione e di parte delle piantagioni in caso degli ormai fin troppo frequenti eventi metereologici estremi, specialmente se gli impianti non sono stati realizzati fin dall’inizio con determinati criteri. L’intervento non sarà quindi applicabile in modo generalizzato, ma solo su una parte delle superfici coltivate che, per posizione geografica e struttura meglio si prestano a essere protette con le reti. Confagricoltura ritiene quindi che, accanto alla lotta preventiva, debbano essere valutati con urgenza un piano di lotta dedicato e gli strumenti per ottenerlo, anche con l’obiettivo di evitare, o quanto meno contenere, l’espansione delle aree infestate. Occorre inoltre prevedere, analogamente a quanto avviene per altre avversità che interessano la nostra regione, un fondo per il ristoro dei danni subiti dagli agricoltori essendo il danno paragonabile a quello di una vera e propria calamità naturale.

 

 

Frutta

Nonostante il fatto che l’andamento climatico sia stato più favorevole rispetto al 2024, con temperature molto alte solo in alcune settimane, nel 2025 la produzione di frutta in Piemonte ha dovuto registrare un calo significativo, specialmente per pere, kiwi e mele. Solo per i piccoli frutti, le ciliegie, le albicocche e le pesche l’annata può essere considerata di buon livello.

In Piemonte le aziende attive nel comparto frutta sono circa 18 mila, concentrate per il 60% nel distretto del Saluzzese ed è in grado di generare un fatturato di oltre 500 milioni di euro tra frutta fresca e industria di trasformazione.

Le aziende biologiche ad indirizzo frutticolo sono attualmente 1.371 (dato Anagrafe Agricola Regionale) per circa 8.200 ettari (superficie biologica e in conversione), un numero notevole di imprese, che però incontrano difficoltà sempre crescenti nel contrastare in campo le nuove fitopatie e gli effetti dei cambiamenti climatici che rendono sempre più complicata la coltivazione di prodotti biologici.

Anche se il numero di aziende agricole in generale è diminuito, il settore frutticolo continua quindi a mantenere una presenza significativa. Il numero di addetti nelle ultime annate è rimasto più o meno stabile, con quasi 30mila unità. A questi si aggiungono circa 17mila lavoratori stagionali che operano soprattutto durante i periodi di raccolta.

Nonostante questi numeri, negli ultimi anni si è registrata una riduzione delle superfici dedicate alle colture frutticole, con una perdita complessiva di 1.500 ettari tra il 2019 e il 2023. La specie maggiormente interessata da questo fenomeno è il melo, che continua a essere la principale coltura frutticola, ma ha visto una flessione del numero di nuovi impianti e della superficie complessiva coltivata. Tra le altre colture in declino si segnalano il pesco e l’actinidia (kiwi).

Anche il 2025, seppure in maniera minore del 2024, è stato un anno complicato dal punto di vista della gestione agronomica dei frutteti a causa, ancora una volta, di un andamento climatico che ha spesso manifestato caratteri anomali, quali per esempio le abbondanti e continue piogge primaverili e le ondate di caldo estivo, accompagnate in qualche caso da trombe d’aria e fenomeni grandinigeni localizzati. Queste avversità hanno richiesto maggiore attenzione dal punto di vista della difesa fitosanitaria, con un’attività scrupolosa di monitoraggio allo scopo di effettuare interventi tempestivi e mirati. Le aziende hanno quindi dovuto affrontare maggiori costi di produzione che non sempre vengono ricompresi nel prezzo finale del prodotto, riducendo così al minimo la marginalità.

 

Mele

Per l’Italia si stima che la produzione totale di mele raggiunga nel 2025 le 2,2 milioni di tonnellate, con un calo del 3% rispetto allo scorso anno. A livello regionale, a fronte di un aumento della produzione in Trentino (+5%) si osserva una leggera flessione in Alto Adige (-3%) e nella maggior parte delle altre regioni, tra cui il Piemonte, dove la perdita potrebbe arrivare al 15% per alcune varietà autunnali, come la Conference.

Anche la produzione biologica è in diminuzione del 12% rispetto allo scorso anno. Con 164.099 tonnellate, rappresenta circa il 7% dell’offerta complessiva.

A livello varietale, si segnala una crescita della Golden Delicious del 3%, mentre la Red Delicious registra una flessione del 21%. Si prevedono anche riduzioni significative Gala (-7%), per Granny Smith (-16% rispetto al 2024) e per Fuji (-3%).

La Cripps Pink registra invece un aumento del 3% sul 2024, superando le 130.000 tonnellate e segnando un nuovo record produttivo. Anche le altre varietà club confermano la loro crescita, con una produzione complessiva superiore alle 300.000 tonnellate, in aumento del 10% rispetto allo scorso anno.

Dal punto di vista qualitativo in Piemonte si rilevano frutti di buon calibro e ottima colorazione. Situazione diversa in Veneto, dove eventi climatici avversi, come grandinate e la presenza di ticchiolatura, hanno determinato una riduzione dell’offerta per tutte le varietà.

La produzione di mele piemontese si attesta sulle 230mila tonnellate; il raccolto quest'anno è inferiore all'anno scorso, ma è di alta qualità. La maggior parte del prodotto (86%) deriva dalle oltre 2mila aziende cuneesi, i cui meleti si estendono per 5.800 ettari.

Da segnalare che la produzione estiva (ad esempio la varietà Gala) non ha subito particolari perdite. Diversa la situazione per le varietà autunnali, come le Conference, dove si stima un calo del 15% rispetto al 2024. Si tratta di un andamento dovuto non solo alle condizioni climatiche, ma anche alla sovrapproduzione del 2024, che ha ridotto la capacità produttiva delle piante nell’annata successiva.

La produzione lorda, che rappresenta il 41% della produzione totale di frutta fresca piemontese ed è destinata prevalentemente all’esportazione, ha un valore di 110 milioni di euro, che salgono a 220 con l'indotto.

Per quanto riguarda gli scambi, secondo le rilevazioni settembre della Camera di commercio di Cuneo, i prezzi all’ingrosso delle mele (franco partenza magazzino) vanno da 0,8 euro al chilogrammo per il prodotto alla rinfusa fino a 1,18 euro al chilogrammo per i calibri maggiori del gruppo varietale Gala.

I prezzi all’origine, ovvero al cancello dell’azienda agricola, vanno invece da 40/45 a 50/55 centesimi al chilogrammo.

 

Pesche e nettarine

Nell’ultimo decennio la superficie coltivata a pesche e nettarine è scesa significativamente (-27,8 %) nei principali areali di coltivazione.  Anche in Piemonte, come a livello nazionale, il trend delle superfici coltivate a pesche e nettarine risulta in calo: -50% di superficie coltivata a pescheto e -28% a nettarine dal 2015. Nonostante le difficolta segnalate dagli agricoltori negli ultimi anni nel gestire le fitopatie, la campagna 2025 è stata caratterizzata da una soddisfacente produttività. I dati Ismea evidenziano inoltre una buona redditività del comparto, con differenziale prezzo/produzione in Piemonte del 60%. Il prezzo medio delle pesche risulta infatti di 0.98 €/kg mentre il costo medio è di 0,60 €/kg. Una notevole variazione rispetto al 2024 in cui i prezzi si aggiravano sui 0,50 €/kg per le varietà precoci e 0,65 €/kg per quelle più tardive.

 

Actinidia

In Italia l’actinidia continua a subire i contraccolpi conseguenti alle problematiche fitosanitarie che si sono diffuse a distanza di pochi anni: prima con la batteriosi e poi con la moria. Una crisi che non ha risparmiato il Piemonte, dove questa specie è stata impiantata per la prima volta negli anni ’70 ed ha rappresentato un punto di svolta per il comparto frutticolo regionale.

Negli anni duemila si contavano circa 5.600 ettari con rese fino a 30 tonnellate ad ettaro, poi, con la comparsa della batteriosi, sono stati estirpati oltre 1,000 ettari, mentre le produzioni medie sono calate a 15 - 20 tonnellate ad ettaro.

Successivamente, tra il 2015 e il 2016, sono stati riscontrati i primi sintomi da moria del kiwi a cui sono seguiti i nuovi estirpi. Oggi la superficie regionale ad actinidia si è ridotta significativamente, in particolare a spese del kiwi verde, più sensibile alle gelate, alle piogge eccessive seguite da lunghi periodi di siccità e soprattutto alla moria, tant’è che nella provincia di Cuneo, storicamente la più vocata per questa coltura, l’area coltivata si è ridotta del 50%, passando da più di 4000 ha a circa 2000. Ciò nonostante, l’Italia resta il principale produttore a livello europeo, e il terzo a livello mondiale dopo Cina e Nuova Zelanda, mentre a livello italiano il Piemonte è la seconda regione più produttiva (17% del totale prodotto), preceduta dal Lazio (33% del totale prodotto).

Grazie a studi condotti dal 2016 in poi, si sa che il kiwi, essendo una pianta da sottobosco, patisce più di altre specie frutticole il cambiamento climatico. Infatti, siccità, inverni caldi, forti ondate di calore mettono sotto stress le piante, incidendo sulla loro vigoria e sulla loro vulnerabilità. Stessa cosa dicasi per impianti di irrigazione a goccia, terreni compatti e poca ombreggiatura. Di conseguenza, l’impiego di reti ombreggianti, la sistemazione del terreno con baulatura a doppia falda e i sistemi d’irrigazione più efficienti con sensoristica avanzata, si sono dimostrati preziosi per limitare gli stress ambientali. Tuttavia, questi accorgimenti non sono ancora risolutivi e si confida molto su un nuovo approccio integrato e collaborativo tra vari soggetti deputati alla ricerca scientifica, proprio con l’obiettivo di sviluppare metodi innovativi, efficaci e sostenibili per contrastare la moria del kiwi, basandosi su una sinergia di conoscenze ed esperienze a livello nazionale e andando ad analizzare tutti gli aspetti che possono concorrere al superamento della problematica.

Quest’anno, insieme alla moria, sono state le condizioni climatiche a mettere a rischio la produzione di kiwi. Il caldo del mese di giugno ha causati ingenti danni, portando a collasso diversi impianti e favorendo un’ulteriore diffusione della moria. Gli effetti di tale fenomeno di sono mostrati nel periodo di fine luglio, anche su innesti ritenuti resistenti alla fitopatia.

Le operazioni di distacco dei Kiwi sono iniziate intorno alla metà di ottobre, complici nei giorni precedenti le temperature più basse, che hanno bruscamente accelerato la trasformazione degli amidi in zuccheri, facendo superare la soglia minima per la raccolta di 6,3 gradi Brix che diventeranno facilmente 12-14 dopo il periodo di finissaggio in magazzino.

Quest’anno nel cuneese, l’area di maggiore diffusione degli impianti di actinidia, si prospetta un’annata critica in termini di volumi, a causa della moria e del clima anomalo. Nonostante la riduzione della quantità prodotta, la qualità dei frutti raccolta risulta buona o eccellente, con un buon tenore di sostanza secca. Infatti, l’indice che meglio rappresenta il potenziale qualitativo, ovvero il contenuto in sostanza secca, ha superato il 15%.

Il mercato risulta dinamico con prezzo medio del prodotto di 1,50 euro al chilogrammo. Questi elevati prezzi di mercato, nonostante la riduzione della produzione, indicano una potenziale buona redditività per i produttori rimasti.

 

Pere

Dopo un 2024 abbastanza favorevole, il 2025 per le pere è stato di nuovo negativo con un 24% circa di produzione in meno a livello nazionale. Le cause principali della sofferenza continuano ad essere i cambiamenti climatici, le fitopatie e la pressione della cimice asiatica. In particolare, le piogge abbondanti cadute tra aprile e maggio sono tra le cause che hanno favorito la problematica della cascola in allegagione, che consiste in una caduta precoce delle pere appena formatesi sulla pianta al termine della fioritura. Purtroppo le varietà più resistenti al cambiamento climatico sono spesso anche quelle meno apprezzate dal mercato, risultando così poco remunerative e sostenibili dal punto di vista economico.

I pereti piemontesi coprono una superficie di circa 1.400 ettari, concentrati perlopiù in provincia di Cuneo (1.143 ha). La gamma varietale rispecchia quella presente a livello nazionale dove l’Abate Fétel resta la pera più coltivata (44%), seguita da Williams (28%) e Kaiser. L’unica variazione significativa interessa la Conference, la cui coltivazione è scesa dal 12 al 4% in dieci anni.

Per quanto riguarda i prezzi medi settimanali all’origine, pubblicati da Ismea mercati, le pere (dati prima settimana di ottobre) vengono scambiate tra 1 e 1,30 euro al chilogrammo a seconda delle varietà, fino a 1,83 per Abate Fetel.

 

Nocciole

Secondo i dati dell’Anagrafe agricola, gli ettari coltivati a nocciolo nel 2025 in Piemonte sono stati 27.422, oltre 500 ha in meno rispetto al 2024. Questo dato risulta particolarmente rilevante se confrontato al periodo 2013-2023 caratterizzato da una tendenza di aree coltivate a nocciolo sempre in crescita: nel 2013 ammontavano a circa 16.000 ettari e nel 2023 a circa 28.000 (+40% in 10 anni). La diminuzione delle superfici è certamente correlata all’andamento particolarmente negativo delle ultime annate per questa coltura.

In Piemonte, la provincia con maggiore estensione coltivata resta quella di Cuneo con 16.600 ha, seguita da Asti con 6.000 e Alessandria con 3.900. Anche quest’anno, la produzione è risultata molto scarsa, con cali stimati dal 50 al 70%: la resa registrata è di circa 10 q/ha, molto distante dalle produzioni attese di 30-35 q/ha. Per quanto riguarda i prezzi, la commissione della Camera di Commercio di Alessandria e Asti ha stabilito una quotazione indicativa per la campagna 2025 di 470-520 euro al quintale.

Questi cali produttivi sono dovuti a una combinazione di fattori. Tra i principali vi è il cambiamento climatico, che consente a fitofagi e agenti patogeni di svilupparsi in areali in cui un tempo rappresentavano avversità marginali o inesistenti ed è caratterizzato da eventi estremi: forti precipitazioni con conseguenti ristagni idrici oppure prolungata siccità con conseguente stress idrico delle piante.

 

Focus su: la cascola del nocciolo

Alla base delle perdite produttive degli ultimi anni vi è principalmente il fenomeno della cascola. Sebbene in parte fisiologico, il fenomeno ha raggiunto livelli critici a causa di forti stress subiti dalle piante. Le concause che innescano la cascola sono molteplici: attacchi di agenti biotici, come la cimice asiatica o patogeni fungini, l’avanzata età degli impianti che li rende poco in grado di reagire alle avversità, lo stress idrico, carenze nutrizionali, scorrette gestioni delle potature e scelta degli impollinatori.

Essendo la Tonda Gentile Trilobata un'eccellenza agroalimentare piemontese riconosciuta a livello mondiale, numerosi enti stanno lavorando per guidare la ripresa del settore. Avendo individuato le varie cause della cascola, come un insieme complesso da contrastare, l’intervento congiunto di enti di ricerca quali, Agrion e Università di Torino, e dei tecnici che si interfacciano direttamente con le aziende corilicole del territorio risulta fondamentale. L'obiettivo primario di questi progetti è definire e trasferire linee guida chiare ai corilicoltori, per la realizzazione di nuovi impianti più resilienti e in grado di affrontare le sfide attuali.

Vista la situazione, Confagricoltura Piemonte ha evidenziato in più occasioni alla Regione la necessità di intervenire in tempi rapidissimi con un piano strategico articolato, finalizzato a garantire la sopravvivenza delle imprese, individuando interventi prioritari da attuare immediatamente e altri a medio lungo periodo. Per questo è stata proposta l'apertura di un “tavolo di comparto” quale occasione di analisi e confronto del settore corilicolo piemontese e per affrontare temi quali:

  • attivare misure strategiche (fondi PSP) a sostegno delle imprese agricole per favorire il rinnovo del parco noccioleti piemontese attraverso l’espianto e il reimpianto, prevedendo sostegni per il mancato reddito e la realizzazione di impianti di irrigazione;
  • coordinare la ricerca scientifica per lo sviluppo di varietà e cloni adatti a fronteggiare lo scenario dei nuovi cambiamenti climatici e concentrare la ricerca sia sulle problematiche fitosanitarie tipiche del nocciolo, sia su quelle emergenti che stanno affliggendo la coltura;
  • valutare l’adozione di nuove tecnologie e l’implementazione di strategie innovative per favorire pratiche agronomiche più sostenibili;
  • valorizzare la produzione e la qualità delle nocciole piemontesi avvalendosi del Consorzio di Tutela e attraverso misure promozionali, affinché venga preservata la corretta remunerazione alle imprese nonché la salvaguardia del territorio;
  • prevedere lo stato di emergenza al fine di permettere la sospensione della verifica della prevalenza per i produttori agricoli colpiti da calamità. In questo modo, la qualifica di imprenditore agricolo permarrebbe anche qualora l’agricoltore non riuscisse a rispettare il criterio della prevalenza di cui all’art. 2135 del Codice civile.
  • rinnovare l’accordo con l’Associazione Bancaria Italiana (ABI) per la sospensione del pagamento della quota capitale delle rate dei mutui in essere (moratoria dei mutui).

 

Castagne

In Piemonte, la superficie complessiva dedicata a castagneto da frutto ammonta a circa 4.535 ettari (dato dell’Anagrafe Agricola 2025), localizzata nelle vallate alpine e nelle aree collinari. La coltivazione è fortemente concentrata in provincia di Cuneo, che con 4.287 ettari in produzione (dato 2025) rappresenta oltre il 90% del raccolto regionale, seguita dalla provincia di Torino con 115 ettari. La nostra Regione vanta due Igp, la castagna Cuneo ed il marrone della Val Susa, ed è la seconda produttrice di castagne in Italia dopo la Campania. La raccolta si concentra tra settembre e novembre e l’annata 2025 si preannuncia eccellente sia in termini di quantità, sia di qualità della produzione. Oltre alla destinazione a frutto, in piemonte questa specie viene coltivata anche per quella a legno. Anche questo settore affronta diverse problematiche fitosanitarie, tra cui e le principali sono: il mal dell’inchiostro, causato da un fungo che intacca le radici e può portare la pianta a disseccamento, il marciume bruno, che danneggia i frutti, e insetti come Carpocapsa e Balanino le cui larve danneggiano anch’esse i frutti.

Nonostante le sfide strutturali, come la difficoltà di gestione dei castagneti, le problematiche fitosanitarie e la frammentazione aziendale che hanno caratterizzato gli anni precedenti, la castanicoltura piemontese affronta l'annata 2025 con prospettive decisamente positive, puntando sulla qualità differenziata come elemento competitivo fondamentale. La strategia per il futuro del settore consiste nel superare la logica della quantità a favore di una maggiore valorizzazione economica del prodotto. In questo contesto, le varietà IGP rappresentano lo strumento strategico principale per rafforzare la tracciabilità e l'identità del prodotto sui mercati. Parallelamente, la filiera si sta orientando verso un modello di coltivazione più razionale, supportato dall'assistenza tecnica fornita dal Centro Regionale di Castanicoltura e da Agrion, cruciale per il rinnovo varietale e per implementare una gestione avanzata delle fitopatie emergenti come il Marciume bruno (Gnomoniopsis). L'obiettivo è massimizzare il valore del prodotto sia per il consumo fresco (che richiede calibro e consistenza), sia per la trasformazione industriale in prodotti gourmet come marron glacés, farine e creme, dove il Piemonte può posizionarsi a un livello di prezzo più elevato rispetto alla media nazionale. Infine, la castagna è sempre più riconosciuta come un prodotto che catalizza il turismo rurale ed esperienziale. Grandi manifestazioni come la Fiera Nazionale del Marrone di Cuneo attraggono centinaia di migliaia di visitatori, fungendo da vetrina per l'intero comparto agroalimentare.

 

Mirtilli

Il Piemonte si conferma, anche nell'annata 2025, la regione leader in Italia per l'estensione della superficie coltivata a piccoli frutti. Il mirtillo continua a essere la specie più diffusa, occupando circa 780 ettari, quasi un terzo del totale nazionale (2509 ettari). La provincia di Cuneo è il cuore pulsante di questa filiera, producendo l'ampia maggioranza (circa l'80%) dei piccoli frutti regionali.

Rispetto all’annata 2024, afflitta da problematiche relative al clima, ma anche dall’arrivo, in molti casi, della Drosophila suzukii, l’annata 2025 ha segnato un’importante inversione di tendenza per il settore dei piccoli frutti. Le abbondanti e precoci piogge che si sono verificate nel periodo primaverile hanno favorito un ottimo sviluppo vegetativo delle piante di mirtillo mentre il periodo di raccolta, iniziato i primi di giugno, è stato caratterizzato da giornate calde e notti fresche, condizioni che favoriscono la qualità del prodotto soprattutto in termini di consistenza e conservabilità. Nel 2024 sono state proprio le perdite per spaccature e disfacimento in post raccolta a danneggiare la produzione. Il comparto dei mirtilli, per l’annata 2025, rappresenta l’unico comparto frutticolo della regione in crescita.

Tra l principali sfide che il settore affronta, restano gli elevati costi di produzione, la scarsità di manodopera stagionale e la presenza dell’insetto esotico Drosophila suzuki, la cui comparsa tardiva (a causa dalle elevate temperature) quest’anno ha permesso di concludere la raccolta in condizioni favorevoli. Resta comunque necessario l’impiego di reti antinsetto per proteggere la produzione dai danni di questa specie, oltre alla necessità di implementare tecniche di controllo biologico e integrate. Nonostante le avversità, a sostenere il comparto vi è l’elevato gradimento da parte dei consumatori italiani per questo frutto, in aggiunta anche ad una più che discreta domanda estera da paesi come Germania e Regno Unito.

 

Fragola

In Piemonte provincia che detiene la maggior produzione di fragole è quella di Cuneo, con il 66% della superficie, che nell’intera regione quest’anno si aggira intorno ai 116 ettari. L’estensione totale della coltura continua però a essere in calo rispetto alle campagne precedenti, tendenza peraltro comune a tutto il nord Italia.

La produzione di fragole piemontese nel 2025 è stata abbastanza positiva, per l’andamento climatico che, a differenza del 2024, è stato piuttosto favorevole alla coltura, portando a ottime caratteristiche organolettiche e una buona shelf life, ovvero una buona conservabilità in confezione, del prodotto.

Secondo le rilevazioni ISMEA, nella terza settimana di settembre 2025, i prezzi all'origine delle fragole si aggiravano intorno ai 5,10 €/kg, quotazione in linea con quella della settimana precedente. Alla fine di settembre i prezzi medi all'origine si sono attestati invece a 4,93 €/kg, in flessione del 3,3% rispetto alla settimana precedente.

La tendenza al ribasso si conferma anche nel confronto con lo stesso periodo del 2024, quando le quotazioni risultavano ben più elevate: il divario è infatti del 45,2% su base annua.

 

 

ORTAGGI

 

Peperone

La coltura del peperone in Piemonte quest’anno ha interessato una superficie di 155 ettari, concentrati nelle province di Torino e Cuneo.

In generale, l’annata 2025 si presenta di livello piuttosto alto, con un raccolto abbondante, quasi 34mila quintali, e privo di fitopatie importanti e il superamento dei problemi di virosi, cosa che ha permesso di puntare anche sulle varietà autoctone.

Nella zona di Carmagnola, la produzione stagionale è di circa 300 quintali a ettaro, con un prezzo di vendita che oscilla tra 1 euro e 2 euro/kg per il Quadrato allungato e tra i 2 euro e i 3 euro per le altre varietà, un valore in linea con quelli rilevati sul mercato generale di Torino dove il “mezzo lungo” si aggira attualmente sui 2-2,50 €/kg.

 

Patata

In Piemonte la superficie dedicata alla coltivazione della patata è stata quest’anno di circa 990 ettari, con una netta prevalenza della provincia di Alessandria, che da sola rappresenta quasi il 50% del totale.

Le produzioni 2025 sono generalmente di sotto della media, a causa soprattutto delle alte temperature estive e della scarsità di acqua. Tuttavia, l’incremento delle superfici, rispetto al 2024, ha in parte compensato la perdita di resa che, sempre nell’Alessandrino, si attesta sui 290 quintali/ettaro.

Per quanto riguarda la commercializzazione c’è da segnalare un forte calo dei prezzi, dai 35 centesimi al chilo del primo periodo ai soli 20 centesimi delle ultime settimane.

Il settore deve anche fare i conti con la crescente concorrenza dei prodotti esteri, specialmente francesi, le cui importazioni sono aumentate sensibilmente nel 2025.

Le varietà da industria di questo tubero sono quelle che si stanno diffondendo maggiormente poiché non solo sono molto apprezzate dai grandi trasformatori per resa e qualità, ma risultano anche meno soggette agli attacchi degli insetti terricoli, garantendo un prodotto più gestibile dal punto di vista commerciale e con una percentuale di scarto inferiore.

 

Focus su: i “ferretti”

La pataticoltura piemontese sta attraversando negli ultimi anni un profondo momento di crisi a causa degli attacchi di Elateridi - coleotteri terricoli, comunemente detti "ferretti”.

I pataticoltori della zona della Bassa Valle Scrivia in provincia di Alessandria, e in parte anche del cuneese, lamentano danni su oltre l'80% dei tuberi, resi non commerciabili dalle profonde gallerie scavate al loro interno dalle larve di questi parassiti terricoli.

La fase di pre-raccolta è quella più critica di tutto il ciclo produttivo: infatti, risulta superfluo ogni intervento tecnico/agronomico per salvaguardare il prodotto, che risulta già attaccato e compromesso.

Tutta la filiera è a rischio, a partire dagli imprenditori agricoli della zona, specializzati nella produzione della coltivazione che, da sempre, è uno dei fiori all'occhiello del tortonese. Ingenti sono le perdite già registrate dalle aziende che hanno investito in tecnologie all’avanguardia nel corso degli anni, per fornire un prodotto di qualità sempre migliore.

Confagricoltura, nel 2025, ha portato avanti un’approfondita azione di sensibilizzazione nei confronti dell’assessorato Agricoltura regionale affinché si potesse trovare in modo celere una risoluzione al problema che, data la scarsità di strumenti attivi per la difesa della coltura e l’assenza di valide alternative a supporto delle aziende (conversione aziende, formazione di personale specializzato, interventi della ricerca per migliorare la resistenza ai parassiti, etc.), vedrebbe scomparire un settore strategico per il Piemonte.

 

Pomodoro da industria

In Piemonte nel 2025 sono stati coltivati più di 4mila ettari di pomodoro da industria, concentrati per l’87% in provincia di Alessandria (3.512 ettari), con un incremento dell’8% delle superfici a pomodoro rispetto agli anni precedenti, giustificato dalla domanda di materia prima da parte del sistema industriale.

Nel Nord Italia, tuttavia, le rese hanno risentito delle alte temperature anomale di giugno e di inizio luglio, che hanno causato la caduta di fiori, provocando una diminuzione dei quantitativi attesi a maturazione nel mese di agosto. Successivamente, grazie alle condizioni meteoclimatiche favorevoli di settembre, i volumi di consegne sono aumentati in modo considerevole, ma al termine della campagna, la diminuzione rispetto al pomodoro complessivamente contrattato è stata di circa il 13%, con una media di 69,3 tonnellate per ettaro, nettamente meno del valore storico quinquennale di 73,2 t/ha. Un dato che si traduce in un quantitativo vendibile non alto, anche se sostenuto da un prezzo favorevole per l'ottima qualità consegnata, sul quale gravano comunque i costi di produzione per ettaro.

In Piemonte la campagna 2025 è iniziata a metà luglio, con un prezzo di riferimento, concordato a inizio 2025, di 142,5 €/tonnellata più un eventuale sovrapprezzo per la qualità. Anche da noi le condizioni climatiche estive hanno causato problemi nelle rese, che si sono attestate tra le 700 e le 900 t/ha, sebbene la qualità del prodotto sia elevata.

 

Focus su: i roditori

Quella dei roditori è una problematica, al momento limitata ad un comprensorio dell'alessandrino, ma che potenzialmente, senza interventi efficaci da parte della nostra Regione, potrebbe evolversi in una vera e propria emergenza.

L’areale interessato include i comuni di Tortona, Castelnuovo Scrivia, Sale, Pontecurone, Pozzolo Formigaro, Bosco Marengo, Novi Ligure, la parte verso il tortonese del comune di Alessandria, oltre ad alcune zone lombarde di confine. In tali zone si sta assistendo ad una inspiegabile e preoccupante proliferazione di roditori, che hanno letteralmente invaso i campi coltivati, producendo gravi danni alle colture.

Infatti, questi animali, scavando gallerie nel terreno, indeboliscono argini e arginelli, danneggiano il cotico erboso e spesso compromettono le colture in atto: senza contare che sovente distruggono le manichette di irrigazione per dissetarsi.

Stante la situazione, in assenza di indicazioni specifiche per difendersi dall’infestazione murina, si sta facendo strada tra gli agricoltori l'idea che il ricorso alle minime lavorazioni possa favorire lo sviluppo dei roditori dal momento che non causa interferenze alla loro rete di gallerie. Quindi, se il fenomeno dovesse, come sembra, continuare ad espandersi, in alcuni contesti potrebbe diventare difficile mantenere tecniche di lavorazione ridotta e superficiale del terreno, proprio per l'esigenza di distruggere il fitto intreccio di gallerie e quindi di ridurre la popolazione di questi selvatici.

Stessa cosa si può dire per i terreni lasciati a riposo (set-aside) e quindi non coltivati.

Questo ripensamento di strategia porterebbe a vanificare gli sforzi economici e organizzativi intrapresi in questi anni dalle aziende agricole e dalla Regione per acquisire più elevati standard di sostenibilità ambientale, rappresentando quindi una pericolosa marcia indietro sulla strada di una maggiore tutela dell'ecosistema.

A fronte di queste segnalazioni, molti agricoltori si stanno domandando quali fattori possono aver scatenato questo fenomeno e, conseguentemente, quali azioni possano essere adottate per superare o arginare il problema.

Confagricoltura ha quindi invitato gli assessorati competenti in materia ad affrontare la tematica in maniera scientifica per giungere alla definizione di un insieme di azioni idoneo a contenere in modo efficace la popolazione di roditori. E ciò già a partire dalla corretta classificazione di questi animali: la presenza nell'area interessata di diverse piattaforme logistiche con scarico di merci provenienti da numerose parti del mondo porta infatti anche a presumere che tale fauna potrebbe essere stata introdotta accidentalmente attraverso le attività umane e quindi sia alloctona rispetto al suo habitat naturale.

 

Andamento degli allevamenti zootecnici

 

La zootecnia piemontese, nel suo insieme, si trova oggi a un bivio. Da un lato, rappresenta una risorsa economica e culturale imprescindibile, che garantisce qualità, tracciabilità e occupazione; dall’altro, deve fronteggiare sfide strutturali sempre più complesse:

• aumento dei costi energetici e alimentari,

• carenza di manodopera specializzata,

• impatto dei cambiamenti climatici,

• vincoli burocratici e normativi spesso rigidi,

• pressione dell’opinione pubblica su temi ambientali e di benessere animale.

Per affrontare queste sfide, è necessario un approccio integrato che combini ricerca scientifica, innovazione tecnologica e supporto politico-amministrativo. La digitalizzazione degli allevamenti, la precision livestock farming, l’alimentazione sostenibile e l’efficienza energetica rappresentano gli strumenti chiave per garantire competitività e sostenibilità nel lungo periodo.

L’obiettivo del Piemonte deve quindi essere quello di rafforzare la filiera zootecnica in tutte le sue componenti, preservando la qualità dei prodotti tipici, sostenendo le aree montane e promuovendo un modello produttivo resiliente, capace di coniugare tradizione, efficienza e rispetto per l’ambiente.

 

Avicoli

In Piemonte, secondo i dati dell’Anagrafe zootecnica nazionale (giugno 2025), il comparto avicolo può contare su 700 allevamenti (con quasi 11 milioni di animali allevati per ciclo tra galline, anatre, faraone, polli da carne, tacchini, etc.; per i polli i cicli ammontano a 5 all’anno).

A circa 2,5 milioni di capi ammonta il patrimonio di galline ovaiole, distribuito in 305 aziende, mentre circa 7,4 milioni sono i polli da carne. Il 70% della produzione e il 50% degli allevamenti sono concentrati in provincia di Cuneo.

 

Uova

In Italia vengono prodotte oltre 12,5 miliardi di uova all'anno, quantità che non solo soddisfa il fabbisogno nazionale, ma consente al nostro Paese di posizionarsi come quarto produttore europeo dopo Francia, Germania e Spagna.

La produzione è concentrata principalmente nel Nord Italia, con Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna come regioni leader, seguite dal Piemonte. Una parte consistente delle uova (circa il 40%) viene utilizzata dall'industria alimentare, mentre il resto è destinato al consumo fresco che si attesta in modo abbastanza stabile intorno alle 215 uova/anno per persona, pari a oltre 13,6 Kg/anno.

Come lo scorso anno, il Piemonte continua a rappresentare circa il 6% del totale della produzione nazionale di uova, e il comparto impiega direttamente più di 1.000 addetti, per un fatturato all’origine di oltre 90 milioni di euro.

L'andamento del mercato delle uova in Italia nell'annata agraria 2025 mostra una modesta crescita della produzione, prevista attorno ad un più 0,5%, accompagnata da un aumento dei consumi che in Italia continuano a crescere, con un incremento del 4,5%.

Il mercato è dunque sostenuto da una forte domanda, anche perché le uova sono fonte di proteina nobile più nutriente e più conveniente rispetto ad ogni altro alimento primario.

I prezzi all'ingrosso CUN sono in crescita, con un aumento del 23,6%.

L'impatto dell'influenza aviaria e le limitazioni introdotte con la biosicurezza condizionano l'andamento produttivo.

 

Avicoli da carne

In Piemonte gli allevamenti avicoli da carne a giugno 2025 erano 368 (350 di polli e 18 di tacchini), per un numero di capi allevati che supera i 7,6 milioni. La nostra regione è al quarto posto in Italia come produzione, dopo Veneto. Lombardia ed Emilia-Romagna.

L’allevamento avicolo continua a essere un settore cardine della zootecnia italiana, con una produzione di 1,4 milioni di tonnellate di carni nel 2024 e una tendenza all’incremento nel 2025 dove, nel primo quadrimestre, si registra una crescita in volume intorno al 2%, che dovrebbe portare il livello di autosufficienza oltre la soglia del 108%.

Le aspettative del comparto per il 2025 sono piuttosto positive: il mese di marzo si è verificato infatti un aumento delle quotazioni, che sono superiori del 26% rispetto a quelle di marzo 2024. Inoltre, le strategie di eradicazione di influenza aviaria si sono dimostrate efficaci a limitare la presenza della malattia nel nostro territorio.

Anche i costi di produzione, che già nel 2024 avevano subito una contrazione grazie al calo delle materie prime utilizzate per l’alimentazione nonché al leggero cedimento dei prezzi degli energetici (–12% circa nell’anno), si mantengono favorevoli, anche se, nella primavera 2025, il prezzo medio del mais ha segnato una lieve ripresa, con un incremento su base annua del 18%, simile il differenziale dei prezzi per l’orzo. I prezzi medi del pollo nel primo trimestre sono invece più alti del 23% rispetto allo scorso anno, raggiungendo ad ottobre 1,6€/kg per il pollo all’origine (dato ISMEA), a vantaggio della redditività per gli avicoltori.

 

Allevamenti bovini e suini

Secondo gli ultimi dati disponibili dell’Anagrafe Nazionale Zootecnica (riferiti a giugno 2025), in Piemonte si allevano 748.649 capi bovini. Il patrimonio suino è di 1.240.619 capi. Significativo anche l'allevamento di ovini e caprini, per un totale di 159.119 capi.

Tra le criticità del 2025 è doveroso citare la dermatite nodulare contagiosa bovina che ha fatto la sua comparsa in piena estate nei pascoli della vicina Francia (Savoia).

La zona di restrizione ha ricompreso fin da subito alcuni comuni della Val d’Aosta che si è trovata costretta ad adottare un piano di vaccinazione da effettuare a tappeto su tutto il territorio, dove erano presenti anche numerosi capi piemontesi in alpeggio.

L'infezione, che in un primo momento si era avvicinata pericolosamente ai confini piemontesi (Val di Susa) a causa di un capo infetto poi individuato e isolato, è sostanzialmente rimasta all’interno della Francia.

Tuttavia, la somministrazione del vaccino con il virus attenuato, che impedisce gli spostamenti degli animali per 60 giorni (28 giorni di immunizzazione e 32 di blocco della circolazione virale nel bovino), ha comportato la necessità da parte degli allevatori piemontesi di scendere dai pascoli valdostani prima della vaccinazione.

Tra le due Regioni, e con il contributo delle Organizzazioni agricole, si sono quindi dovuti trovare gli opportuni accorgimenti per far valere la clausola di forza maggiore per gli allevatori che scendevano prima del dovuto dalle montagne valdostane senza completare il periodo obbligatorio di pascolamento richiesto dalla Pac, in modo da non incorrere in sanzioni sui sostegni comunitari.

Anche se la situazione in Piemonte sembra essere sotto controllo, la PSA ovvero la Peste suina africana, che colpisce i suini in modo letale, rimane pur sempre un elemento di preoccupazione ormai da inizio 2022.

Nonostante tutte le azioni attuate per il contenimento della popolazione dei cinghiali e per impedire la diffusione del contagio, la PSA è riuscita, proprio nel 2024, a penetrare negli allevamenti suinicoli di alcune regioni, tra cui il Piemonte. Al 27 ottobre scorso i focolai nelle porcilaie della nostra Regione erano 8, dislocati in provincia di Novara (7) e di Vercelli (1).

Tuttavia, grazie anche ad una intensificazione degli interventi di biosicurezza, con ulteriori accorgimenti per impedire la diffusione della malattia tra i suini allevati, la situazione è significativamente migliorata, tant’è che alcuni elementi di restrizione sono stati attenuati (per esempio sono state rimosse le restrizioni per le province di Novara e Alessandria, dove non si sono registrati nuovi focolai negli allevamenti da oltre un anno).

 

Bovini da carne

Nel 2025, il settore nazionale della carne bovina continua a trovarsi in una complessa dinamica di mercato. La produzione nazionale segue la tendenza di crescita degli anni precedenti, stimata tra 750.000 e 800.000 tonnellate, segnando un probabile incremento dell'1,5% rispetto all'anno precedente. Questa crescita produttiva non è, tuttavia, supportata da un pari andamento dei consumi interni, che mostrano una persistente flessione a causa della crescente tendenza alla riduzione dei consumi di carne nell’alimentazione e della forte competizione con le carni bianche. Il consumo pro capite annuo di carne, infatti, è previsto in leggero calo.

Sul fronte dei prezzi, il 2025 si preannuncia in linea con la tensione già registrata, secondo i dati dell’SMEA fin dall’inizio dell’anno i prezzi dei bovini da macello di tutte le categorie sono aumentati fino a raggiungere valori notevolmente superiori a quelli dei precedenti anni. Ad esempio, il prezzo dei vitelloni da macello a giugno ha raggiunto i 2,92 €/kg (peso vivo - iva esclusa), ossia il 22% in più rispetto alla media del triennio precedente (giugno ’19-’20-‘21). Questa spinta è determinata principalmente da un'offerta limitata di capi grassi e dal persistere di costi di produzione elevati che gli allevatori devono sostenere. L'Italia rimane strutturalmente dipendente dalle importazioni, con un tasso di autoapprovvigionamento basso (intorno al 40-47%), nonostante l'incremento nell'importazione di ristalli (capi giovani) possa far presagire una maggiore autosufficienza nel medio periodo.

A livello territoriale, anche la filiera della razza piemontese, rinomata per la Fassona, è tornata ad avere quotazioni in grado di sostenere i costi di produzione e di assicurare un minimo di remunerazione agli allevatori.

L'allevamento dei bovini da carne deve però affrontare, oltre alla contrazione dei consumi di carne rossa, costose prescrizioni come quelle legate all'adeguamento al Piano di qualità dell'aria, che aumentano notevolmente gli oneri aziendali. La diminuzione pluriennale della consistenza degli allevamenti piemontesi (che tra il 2020 e il 2024 ha visto una riduzione del 5,1% dei capi da carne) si prevede possa proseguire, alimentata dalle pressioni economiche e normative.

La rigidità della burocrazia nazionale si pone in netto contrasto con l'urgente necessità di adattamento ai cambiamenti climatici che l'agricoltura impone. L'imprevedibilità dell'andamento climatico stagionale, infatti, va spesso in contrasto con le scadenze rigide imposte dai regolamenti per l'accesso a contributi fondamentali per la sopravvivenza delle aziende, quali quelli della PAC e del CSR. Un esempio concreto di questa disfunzione emerge nella gestione degli alpeggi estivi. Le gravi carenze idriche che si verificano in piena stagione compromettono la disponibilità di foraggio per il bestiame. In queste situazioni, gli allevatori non possono provvedere riportando anticipatamente a valle gli animali in quanto tale azione comporterebbe la perdita del diritto ai contributi. Questa situazione evidenzia come la mera imposizione di paletti temporali, slegati dalle reali e mutevoli condizioni agro-climatiche e ambientali, non sia una scelta a sostegno della produzione né, tantomeno, del benessere animale. Al contrario, il sistema burocratico finisce per penalizzare l'allevatore che dovrebbe invece essere messo in condizione di prendere decisioni flessibili basate sull'evoluzione stagionale in corso.

Oltre alle criticità citate, quest’anno è comparsa nel Nord Italia, in particolare nella regione Valle d’Aosta, la dermatite nodulare contagiosa (Lumpy Skin Disease - LSD), una malattia virale che, pur non essendo trasmissibile all'uomo, rappresenta una minaccia economica e gestionale significativa. Il virus, veicolato principalmente da insetti ematofagi (come zanzare e mosche), causa sintomi gravi come noduli cutanei, febbre e, soprattutto, enormi perdite di produttività dovute al calo drastico della produzione di latte, problemi riproduttivi (aborti e infertilità) e deprezzamento delle carcasse. Essendo la LSD una malattia di Categoria A, la sua comparsa attiva immediate e severe misure di contenimento, prima tra tutte il blocco delle movimentazioni dei bovini in ampie zone di protezione e sorveglianza, in grado di creare rilevanti ostacoli logistici proprio nel periodo cruciale del rientro del bestiame dagli alpeggi a fine estate.

 

Focus su: il Piano Regionale per la Qualità dell’Aria

Con l’inizio del 2026 entrerà in vigore la seconda e più gravosa fase di adeguamento per gli allevamenti contemplata dal Piano Stralcio Agricoltura per la Qualità dell’Aria.

Si tratta in moltissimi casi di modifiche strutturali, prime tra tutte la copertura degli stoccaggi, che comportano notevoli oneri finanziari e autorizzativi a carico delle aziende interessate.

Tuttavia, a fronte dello sforzo che si richiede agli allevatori piemontesi, rimangono aperte alcune problematiche, elencate di seguito, per le quali Confagricoltura ha più volte sollecitato interventi di modifica delle norme e di revisione delle tempistiche.

 

Copertura stoccaggi dei reflui palabili

La difficoltà, e in alcuni casi la vera e propria impossibilità tecnica, di coprire i cumuli di materiali palabili è sempre stata evidenziata nelle interlocuzioni con gli assessorati Agricoltura e Ambiente. Anche per questa ragione era stato affidato all’università di Torino – DISAFA un progetto per valutare la possibile riduzione di emissioni dagli stoccaggi dei palabili utilizzando vari tipi di additivi. Lo studio, i cui risultati sono stati divulgati solo nel mese di settembre, non ha tuttavia evidenziato azioni significative da parte degli additivi testati, così che questa soluzione tecnica non appare spendibile nell'attuazione del Piano Stralcio. Di conseguenza, gli allevamenti, che hanno atteso indicazioni dalla ricerca, si trovano ora nell’impossibilità di effettuare gli interventi di copertura, posto che questi siano tecnicamente possibili, prima della fine del 2025, da qui la necessità di attivare un percorso di adeguamento graduale che possa superare le scadenze attualmente previste.

 

Copertura stoccaggi dei reflui non palabili

Analogamente a quanto avviene in Lombardia, anche il Piemonte intende allineare al 60% (valore proposto dal Codice nazionale ammoniaca del 2021) l'efficacia di abbattimento ammoniacale delle coperture flottanti diverse da crosta e paglia. Si tratta di una modifica sicuramente migliorativa perché consentirà a diverse imprese titolari di AVG che nella seconda fase del Piano hanno un obiettivo di abbattimento al 60%, di poter valorizzare le coperture flottanti già realizzate, conteggiabili sino ad oggi solo al 50% di efficacia. Tuttavia, studi effettuati dall’Università di Torino, che da parecchio tempo segue lo sviluppo e il miglioramento di queste tecniche, hanno rilevato che la loro efficienza, se correttamente gestite, supera il 90%, valore analogo a quello delle coperture rigide, ma con costi e difficoltà di messa in opera decisamente inferiori. Sarebbe dunque molto conveniente utilizzare, ed eventualmente ampliare gli studi già esistenti per introdurre questo valore nel Piano Stralcio, cosa che però con tutta evidenza non è possibile fare entro l’inizio del 2026. Anche in questo caso, quindi, un percorso di adeguamento non legato rigidamente alle scadenze del Piano consentirebbe alle aziende di realizzare interventi più sostenibili dal punto di vista economico e gestionale.

A questo proposito occorre inoltre sottolineare che, in generale, i dati di riferimento a scala nazionale per l'escrezione azotata degli animali e relativi fattori emissivi sono ormai poco rispondenti sia alle tipologie di animali allevati e alle relative diete, sia alle potenzialità di abbattimento ammoniacale delle soluzioni oggi sul mercato. Questo fatto, su cui concordano anche gli assessorati Agricoltura e Ambiente della nostra Regione, nonché l’Università, renderebbe opportuno avviare una serie di studi e misurazioni a livello locale, per modificare i dati tabellari al fine di adeguarli alla situazione reale, rendendo così meno gravosa la quota di emissioni del settore agricolo e, di conseguenza, gli adempienti a suo carico.

 

Termine lavori adeguamento finanziati – tempistiche nuovi bandi

Le aziende che hanno aderito al bando sull’Intervento SRD02 – Investimenti produttivi agricoli per ambiente, clima e benessere animale, hanno avuto l’approvazione del finanziamento solo nello scorso mese di luglio 2025, per questa ragione, nella maggior parte dei casi, per ragioni tecniche e autorizzative, non riusciranno a completare gli interventi finanziati entro la fine del 2025. Risulta necessario quindi un provvedimento che formalizzi, anche ai fini dei controlli sul Piano, la possibilità di completare il percorso di adeguamento nei tempi previsti dal bando (12 mesi dall’approvazione della domanda).

In generale Confagricoltura ritiene che, per la piena applicazione del Piano Stralcio Agricoltura per la Qualità dell’Aria, rimangano ancora da definire numerosi aspetti di carattere burocratico, ma soprattutto tecnico, per i quali occorre istituzionalizzare un percorso di approfondimento con l’Ente pubblico che, anche mettendo in secondo piano un rigido ma poco utile rispetto delle scadenze, possa favorire una gestione reale e sostenibile delle norme, salvaguardando nel contempo gli obiettivi di riduzione emissiva del comparto.

 

Bovini da latte

In Piemonte il settore lattiero-caseario rappresenta ormai abbastanza stabilmente oltre il 10% del valore della produzione agricola. Nella nostra regione sono presenti 1.295 aziende, numero in calo rispetto ai due anni precedenti (1.348 nel 2023 e 1.316 nel 2024), localizzate per la maggior parte nelle province di Cuneo (41% delle aziende, 52% dei capi) e Torino (39% delle aziende, 33% dei capi). La dimensione media degli allevamenti piemontesi si conferma però superiore a quella nazionale, anche se molte aziende sono ancora piuttosto piccole; infatti, circa il 25% delle aziende consegna meno di 100 t/anno di latte, il 2% della produzione regionale, mentre poco più del 20% delle aziende produce oltre 1.000 t/anno, quasi il 70% del volume complessivo.

La produzione di latte in Piemonte nel 2025 ha registrato un aumento dello +0,47% per i primi otto mesi dell'anno rispetto allo stesso periodo del 2024. Questo dato si somma alla crescita del +2,34% registrata nel corso del 2024 e conferma l’importanza del settore lattiero-caseario nel quadro dell’agricoltura piemontese. Secondo i dati forniti dal CLAL.it, la produzione totale di latte in Piemonte ha raggiunto 841.214 tonnellate nel periodo gennaio-agosto 2025. Il Piemonte si conferma una delle regioni leader per la produzione di latte, contribuendo con circa il 9,3% delle consegne nazionali, come si evidenzia nei primi otto mesi del 2025.

Per quanto riguarda le esportazioni, pur non essendo ancora disponibile il dato 2025, merita segnalare che il settore lattiero-caseario piemontese ha registrato un valore di oltre 6 miliardi di euro (dato riferito al 2023) consolidando il Piemonte come una delle regioni più dinamiche nell'export agroalimentare italiano. I principali paesi di destinazione sono stati Francia (16,1%), Germania (15,2%) e Stati Uniti (8,2%).

Inoltre, a tutela del settore dei formaggi - ma non solo - l’Assessorato Agricoltura cibo e Commercio della Regione Piemonte ha da poco lanciato il brand Piemonte is – ECCELLENZA PIEMONTE, che mira a valorizzare la filiera dei nostri prodotti agroalimentari.

Per quanto riguarda i prezzi, sempre sulla base dei dati ISMEA, il latte in Italia, dopo il +1,9% del 2024, ha registrato una contrazione dell'1% nel primo quadrimestre 2025, in linea con quanto verificatosi in tutti i principali paesi produttori comunitari. Il prezzo alla stalla nazionale ha proseguito la dinamica iniziata nell'estate 2024 e nei primi cinque mesi del 2025 ha mediamente superato i 59 euro/100 litri (Iva esclusa, senza premi), segnando un +16% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno grazie alla maggiore richiesta dei principali formaggi della tradizione. Rimane però sempre la variabile del latte spot (non contrattualizzato o con contratto di somministrazione non superiore ai tre mesi), anche se rappresenta una parte limitata del latte scambiato nel mercato. Questo tipo di latte è infatti soggetto a variazioni repentine di prezzo legate ad un mercato molto più immediato rispetto quello del latte alla stalla, soggetto a periodi contrattuali più lunghi, a settembre 2025 il prezzo era in media di 51,5 €/100 litri, con valori intorno a 51,55 - 53,61 €/100 litri a fine ottobre. Questo rappresenta un calo rispetto ai mesi estivi, a causa di una tendenza al ribasso iniziata a giugno 2025.

Per contro, i costi di produzione sono in progressiva diminuzione. Nei primi sei mesi del 2024, secondo i dati Ismea le quotazioni delle materie prime per l’alimentazione del bestiame sono scese. Ad esempio, si registra il prezzo medio del mais a ottobre 2025, pari a 224,88 €/t, quello della farina di soia 332,90 €/t e il prezzo del fieno di erba medica a 193,01 €/t.

 

Focus su: il prezzo del latte

In questo momento c’è una grande attenzione nel comparto caseario per le prospettive del prezzo del latte, in particolare per lo ‘spot’, quello venduto al di fuori dei contratti: dopo la flessione di settembre, con la quotazione scesa da 60 a poco più di 51 euro al quintale, evoluzione che Confagricoltura sta seguendo con un attento e continuo monitoraggio.

A seguito del brusco cedimento registrato nel mese scorso del latte spot, il prezzo si starebbe assestando verso quotazioni di 54-55 euro al quintale ma, secondo Confagricoltura Piemonte, i segnali di riduzione che arrivano anche dai prezzi per la panna, il burro e alcuni formaggi, sono visti con una certa preoccupazione. Qualora la tendenza alla contrazione dovesse proseguire si potrebbe concretizzare nei prossimi mesi una vera e propria crisi del settore, soprattutto se le industrie del settore dovessero decidere, come sembra sia stato prospettato, di rivedere al ribasso le forniture e le quotazioni.

Si tratta di una situazione in assestamento, che è in parte dovuta anche ad un ingresso nel nostro Paese di latte proveniente dall’estero in un momento, quello di fine estate appunto, in cui solitamente questo fenomeno non si verifica.

Tuttavia, non è solo una questione di rapporto tra domanda e offerta; o meglio, non si può addebitare la riduzione del prezzo del latte al solo fatto che ci sia un’offerta maggiore rispetto ad una domanda caratterizzata da una riduzione dei consumi. Per capire meglio la situazione bisogna infatti ampliare l’analisi al contesto internazionale che vede l’Europa con produzioni al ribasso mentre altri Paesi, grandi esportatori, quali la Nuova Zelanda, hanno invece accresciuto sensibilmente i quantitativi di latte prodotto. Inoltre, il mercato del latte è da tempo influenzato dalle politiche commerciali, ovvero dai dazi, dai cambiamenti climatici, per le ricadute pesanti sulla disponibilità dei foraggi, e dalla presenza di fattori che minano la salute degli animali come la diffusione delle epizoozie. Sarebbe quindi opportuno attivare concretamente anche nel nostro Paese delle strategie a sostegno degli allevatori nei periodi di crisi di mercato, come prevede la legislazione comunitaria.

 

Suini

La regione Piemonte, anche nel 2025, mantiene una posizione di rilievo nel panorama suinicolo nazionale. Sulla base delle tendenze del 2024 e delle proiezioni di inizio 2025, si stima che il numero di allevamenti attivi si sia mantenuto stabile o abbia subito un leggero calo, in linea con la contrazione osservata a livello nazionale, ma con una elevata concentrazione di capi. La provincia di Cuneo ospita la maggior parte delle aziende e dei capi, superando il 60% del totale piemontese. Il valore della produzione delle carni suine della regione conferma la sua importanza economica, attestandosi intorno ai 270 milioni di euro, pari a circa il 9% del totale nazionale.

Il comparto suinicolo italiano, secondo le elaborazioni di Rete Rurale e Ismea, si conferma fortemente orientato alla salumeria, a cui viene destinato circa il 70% delle macellazioni. La filiera si presenta, di conseguenza, come una catena complessa che va dall'industria mangimistica all'allevamento (suddiviso tra scrofaie e strutture per l’ingrasso), fino alle fasi di lavorazione delle carni, alla distribuzione e al consumo finale.

Per quanto riguarda il mercato, la seconda metà del 2025 ha mostrato una forte variabilità. La redditività degli allevamenti, sia a ciclo chiuso che aperto, ha registrato una dinamica altalenante. Dopo una fase di ripresa estiva, l'autunno ha visto una leggera pressione al ribasso. A ottobre 2025, la redditività per i suini da ingrasso è stata influenzata in negativo dalla riduzione delle quotazioni dei suini da macello pesanti. Quella delle scrofaie, viceversa, ha mantenuto un andamento più resiliente in alcuni momenti dell'anno grazie ai prezzi dei suinetti.

I prezzi all’origine, fissati dalla CUN (Commissione Unica Nazionale) a fine ottobre 2025, riflettono questa fase di correzione. Per i suini pesanti (160-176 Kg) destinati al circuito non tutelato, le quotazioni si aggirano intorno a 1,892 €/Kg peso vivo, mentre per il circuito tutelato (DOP) sono superiori, attestandosi sui 2,030 €/Kg peso vivo; questi prezzi rappresentano un calo rispetto al picco estivo.

Infine, un elemento cruciale per il 2025 è stata la Peste Suina Africana (PSA).

 

Apicoltura

L’annata apistica 2025 è risultata particolarmente favorevole, soprattutto se paragonata a quelle precedenti, in cui il verificarsi di numerosi eventi meteorologici estremi a partire dalla stagione primaverile aveva compromesso in modo rilevante la produzione della quasi totalità di miele.

Durante l’inverno si sono registrate gravi perdite di alveari (in alcuni casi maggiori del 30%), dovute principalmente a forti infestazioni da varroa e alla scarsità di raccolti dell’annata precedente. Il clima mite che si è verificato nel periodo invernale, in particolare nei mesi di gennaio e febbraio 2025, ha inibito il naturale blocco di covata delle famiglie di api e perciò permesso alle popolazioni dell’acaro Varroa destructor di accrescersi anticipatamente. 

Nonostante ciò, grazie alle abbondanti ma intermittenti piogge nei mesi di aprile e maggio e al clima mite, si è verificata un’ottima fioritura di Robinia pseudacacia con conseguenti elevate quantità di miele di acacia, cruciale per la produzione piemontese e che negli ultimi anni aveva subito un grave crollo.

Le medesime piogge primaverili hanno però ridotto la disponibilità di miele di tarassaco e ciliegio, che fioriscono prima della Robinia e rappresentano le prime fioriture importanti della stagione apistica.

Il mese di giugno è stato particolarmente caldo, con temperature medie molto superiori a quelle registrate nell’ultimo decennio. Inoltre, anche le precipitazioni si sono interrotte sulla quai totalità del territorio nazionale. In questo mese le produzioni più importanti dipendono dalla fioritura di tiglio e castagno, il primo dei quali ha tendenzialmente una fioritura più anticipata rispetto al secondo. Per questa ragione, nonostante il caldo intenso e la siccità che si sono verificati, la fioritura del tiglio non è stata compromessa e ha consentito buone produzioni di miele mentre quella del castagno è stata maggiormente penalizzata e si sono registrate rese inferiori a quelle attese, seppur con una certa variabilità in base alle zone in cui si trovavano gli apiari, in quanto alcune aziende hanno riportato risultati soddisfacenti.

Quella del castagno rappresenta l’ultima fioritura di maggiore importanza della stagione apistica piemontese: concluso il raccolto, gli apicoltori concentrano l’attenzione sul controllo della varroa. I monitoraggi svolti in diversi territori hanno evidenziato alti livelli di infestazione già a inizio luglio, rendendo necessari trattamenti precoci.

In alta montagna invece, il mese di luglio può essere paragonato a una seconda primavera per le aziende che praticano nomadismo, in quanto le fioriture sono ritardate. Quest’anno in Piemonte e nel Nord Italia in generale, sono state ottime le produzioni di mieli di montagna come tiglio, rododendro e millefiori d’alta montagna delle Alpi.

A livello di mercato il miele continua ad attraversare una crisi, aggravata dalla concorrenza estera e dai prezzi considerati sleali, che mettono sotto pressione la redditività delle aziende locali. La quotazione del miele, sia per il consumatore finale che per la vendita all'ingrosso, presenta una notevole variabilità in base alla tipologia, al formato di vendita e al canale di distribuzione. Per quanto riguarda il prezzo al consumatore, i mieli più pregiati e tipici del Piemonte, come l'Acacia, si collocano nella fascia più alta: un vasetto da 500g di Acacia si aggira tra gli 8,00 e i 9,90 €, mentre il formato da 1kg può facilmente superare i 15,00 €, arrivando anche oltre i 21,00 € in caso di prodotti biologici. Il Miele di Castagno, dal sapore più intenso e amaro, ha costi leggermente inferiori, con il 500g a circa 6,50 € e il 1kg spesso venduto tra 9,00 e 12,00 €. Il Millefiori ha un prezzo variabile ma generalmente in linea con quello di Castagno. È importante notare che i formati più piccoli (ad esempio 250g o 350g) comportano sempre un costo al chilogrammo superiore rispetto ai formati grandi. Per quanto concerne i prezzi all'ingrosso, cioè per il miele sfuso venduto in grandi quantità (fusti o secchi), le quotazioni sono sensibilmente inferiori, ma variano comunque a seconda dei volumi acquistati, dell'annata produttiva e della qualità specifica del miele. I prezzi all'ingrosso più recenti per il miele sfuso in fusti si attestano intorno a 9,00 - 9,50 € al kg per l'Acacia e circa 7,00 - 7,50 € al kg per il Tiglio. Il recente rincaro dei prodotti dell'apicoltura è la diretta conseguenza di due fenomeni principali: la riduzione della produzione e l'aumento dei costi di gestione. Tali problematiche sono strettamente correlate all'impatto dei cambiamenti climatici e all’incidenza di parassiti esotici che minacciano la salute e la sopravvivenza delle colonie di api.

Il settore ha continuato a chiedere maggiore tutela e controlli. La Regione Piemonte si è fatta parte attiva anche quest’anno con bandi e programmi di sostegno (Interventi per l'apicoltura 2025-2026), per finanziare le associazioni apistiche (per servizi di assistenza tecnica, formazione e promozione) e supportare economicamente le aziende per le spese sostenute a causa di cambiamenti climatici, malattie e parassiti.